giovedì 31 maggio 2007

Cannes 2007: l’Italia parte con poche speranze. Per i giurati italiani c’è una crisi di ‘sistema’



A Cannes con poche speranze. La musica non cambia e anche quest’anno nell’ormai tradizionale incontro organizzato dall’Adci con i giurati che andranno a difendere il colori italiani al Festival internazionale della pubblicità, giunto alla 54esima edizione, aleggia un clima di rassegnazione.
“Ci sentiamo come inviati al fronte – ha affermato Paola Manfroni, giurato per la categoria Film -. Non abbiamo un compito facile, perché noi italiani non costruiamo lobby e negli ultimi anni non siamo riusciti a imporre il nostro linguaggio a livello pubblicitario. Inoltre questo è stato un anno problematico per noi, le agenzie si sono concentrate più sui problemi di business che sulla creatività. Di fondo c’è la consapevolezza di non essere preparati per la Serie A”. Toni dimessi anche per Alessandro Orlandi, al Festival come giurato Cyber, che denuncia le difficoltà di uno dei settori più innovativi della comunicazione. “Il nostro – ha sottolineato il pubblicitario - non è un problema creativo. Le idee non mancano, sono gli investimenti a essere carenti. Siamo indietro a livello tecnologico e anche se le idee ci sono non sono sviluppate in modo adeguato, soprattutto rispetto agli standard di Paesi come gli Stati Uniti, il Brasile e il Giappone. Da noi c’è la convinzione che se un progetto è realizzato per l’online può essere di qualità inferiore a livello produttivo. All’estero invece hanno un approccio olistico. Nell’online però abbiamo grandi margini di crescita nei prossimi anni”. Anche la creatività radio quest’anno in Italia vola molto basso. Lo sostiene Michela Grasso, giurata di categoria, che non fa giri di parole: “Siamo francamente messi male e sarà difficile trovare qualche idea in grado di emergere. Sul fronte della creatività radiofonica il Radiofestival è un buon indicatore e quest’anno sono state premiate solo sei categorie su dieci”. Al momento alla Grasso sono arrivati dalle agenzie ventidue lavori, un numero esiguo, ma in linea con gli anni precedenti. “E’ una categoria complessa – ha spiegato la giurata -. E su di esse influiscono anche problematiche non legate strettamente alla carenza di creatività. Da noi i radiospot sono rinchiusi in schemi rigidi, blocchi da 30 secondi, e ha un forte peso la parte commerciale del messaggio. Per non parlare dell’uso di battute e dialetti che non sono spendibili in un contesto come Cannes”. Ma la bomba la lancia Giovanni Porro che rappresenterà l’Italia nella giuria Press. “Anche nella mia categoria non vedo un annuncio che emerge – ha detto il direttore creativo di Euro Rscg -. Ogni anno il Festival della pubblicità è un pretesto per fare il punto, per poi scordarsi tutto subito dopo C’è una crisi della nostra professione, è inutile nascodersi dietro queste scuse. Negli ultimi dieci anni il nostro settore ha perso nelle agenzie un terzo degli addetti. Ci sono meno soldi. E dietro c’è una crisi industriale. I grandi clienti non sono più in Italia e noi ci troviamo senza un punto di riferimento locale in grado di esportare creatività”. L’Italia è diventata dunque un Paese satellite, su questo Porro non ha dubbi, e la mancanza di risultati a Cannes è la conseguenza di questo processo che vede le industrie centralizzare il business tutto all’estero, dove si operano le scelte importante. E una tendenza analoga sta coinvolgendo anche i grandi network creativi. “Siamo di fronte a un ‘sistema italia’ che perde competitivà – ha commentato il presidenti dell’Adci e padrone di casa Maurizio Sala -. Trovarci qui è un modo per affrontare il problema. Come associazione stiamo cercando di sensibilizzare le aziende e proseguiamo il nostro lavoro di formazione con tanti seminari. Non possiamo nascondere che c’è uno stato di malessere nella nostra professione che non può non avere ripercussioni”.

venerdì 18 maggio 2007

La pubblicità online fa ingrassare i bambini


Secondo una ricerca Usa, l'elevato numero di pubblicità alimentari favorirebbe l'obesità infantile: i social network principale bersaglio

WASHINGTON – Sempre più spesso, il mondo dei pubblicitari si rivolge direttamente ai più giovani; rientrano nel flusso del mercato sia gli adolescenti, che essendo dotati di paghetta settimanale sono già veri e propri consumatori, sia i bambini, che influenzano le spese familiari. I mezzi preferiti dalla comunicazione commerciale sono televisione e internet, cioè i principali luoghi virtuali di svago per i giovani. Se i prodotti pubblicizzati fossero solo capi di abbigliamento o giocattoli, le conseguenze per i genitori sarebbero solo di natura economica, ma quando gli spot promuovono cibi, le implicazioni riguardano anche la salute.
LO STUDIO –
BusinessWeek ha presentato una ricerca, condotta da Kathryn Montgomery per il Centro per la Democrazia Digitale e per il Berkeley Media Studies Group, in cui emerge una preoccupante relazione tra la pubblicità online e il livello di obesità infantile degli Stati Uniti. I luoghi in rete più ricchi di pubblicità alimentari sono proprio i social network, le chat e i videogiochi, ambienti che sono maggiormente frequentati dai più giovani. Secondo i ricercatori, l'elevata obesità è influenzata dal numero crescente di inserzioni pubblicitarie presenti su questi siti; nemici di ogni genitore sono oggi quelle immagini e promozioni che rappresentano cibi da fast food, merendine ipercaloriche, bevande gassate e spuntini grassi. La ricerca è stata interamente pubblicata online ed è consultabile sul sito Digitalads .
LA NORMATIVA – I risultati della ricerca sono stati infine inviati alla Federal Trade Commission (Ftc) con la speranza che possa nascere al più presto una regolamentazione per difendere i bambini dall'online marketing. Per definire l'impatto delle pubblicità alimentari sui giovani, la stessa Ftc sta effettuando un sondaggio che coinvolge diversi mezzi di comunicazione, senza limitarsi al web, per valutare un'eventuale normativa di carattere generale. Negli Stati Uniti, la legge sulla protezione della privacy online dei minori impedisce alle aziende di raccogliere dati riguardanti i bambini, impedendo quindi una profilazione di consumo più dettagliata, come quella degli adulti; nonostante ciò, le campagne rivolte ai giovani raccolgono consensi.
PROMOZIONI MALIGNE – Gli stimoli che giungono dalle aziende alimentari sperimentano nuovi messaggi e canali con l'obiettivo di coinvolgere i baby-consumatori. Al di fuori della rete, per esempio, oltre seicento fast food in California offrono buoni gratuiti per i dessert a chi invia un messaggio dal proprio cellulare; anche nelle bevande ad alto contenuto di zuccheri si trovano codici promozionali che attirano gli adolescenti. In difesa della pubblicità, il panorama internazionale comprende anche esempi positivi che promuovono nelle proprie comunità virtuali il consumo di cibi salutari; ma si tratta comunque di casi irrilevanti per il mercato globale.

martedì 8 maggio 2007

Il mondo virtuale conquista l’Europa con Second Life


Continua ad attrarre proseliti l’universo virtuale di Second Life, meta sempre più popolare anche tra gli utenti europei, che rappresentano ormai più del 61% dei residenti.
Lo ha rivelato uno studio ComScore, secondo cui a marzo 2007 erano circa 1,3 milioni gli utenti attivi del sito che consente a chiunque di crearsi un alter ego (avatar) a proprio piacimento e di costruirsi una vera e propria vita parallela, con tanto di lavoro, hobby, amici e divertimento virtuali. Il tutto ovviamente, pagando con soldi veri i beni e i servizi offerti sia dai residenti che dalle tantissime aziende – grandi firme della moda, del giornalismo e dell’entertainment - che hanno aperto una filiale sul sito.

Tra marzo e gennaio, il numero di utenti di Second Life è cresciuto del 46%, con circa 800 mila residenti attivi provenienti dall’Europa che è quindi il continente più rappresentato in questo mondo virtuale.
Seguono gli utenti americani che rappresentano il 19% dei residenti e quelli dell’area Asia Pacifico con il 13%.

I più attratti dalle infinite possibilità di metamorfosi, business e intrattenimento di Second Life sono gli uomini, che rappresentano il 61% della popolazione.
Il Paese europeo più popoloso sulle isole virtuali del sito creato dal Linden Lab è la Germania: sono 209 mila gli utenti tedeschi, su un totale di 777 mila europei. La Germania conta anche la percentuale più alta (16%) di residenti ‘attivi’, una percentuale in crescita del 32% rispetto a gennaio, a pari merito con gli Usa, dove si contano 207 mila utenti.

Seguono la Francia con 104 mila utenti (l’8% è attivo) e la Gran Bretagna.

L’Italia è il settimo Paese a livello mondiale, con una percentuale di presenze quasi raddoppiata rispetto a gennaio (da 1,93% a 3,99%), mentre si rafforza sempre di più anche il fronte asiatico rappresentato da Giappone (oltre 124 mila iscritti a marzo), Corea del Sud (oltre 10 mila) e Cina (oltre 45 mila iscritti).

Gli utenti di Second Life hanno fatto del motto “Your world. Your imagination” un vero e proprio stile di vita, creando tra l’altro un’economia molto florida: ogni ‘residente’ ha infatti i diritti di proprietà intellettuali sui prodotti creati che possono dunque essere venduti e comprati utilizzando la moneta virtuale Linden Dollar che può essere a sua volta comprata e venduta con denaro reale ed è accettata da alcuni siti come valuta per il pagamento delle inserzioni pubblicitarie.

“L’eccezionale crescita di Second Life continua – ha spiegato Bob Ivins, Managing Director di comScore Europe – e la sua presenza è molto sentita in tutto il mondo”.
Con oltre 800 mila utenti attivi in Europa, 6,1 milioni di residenti nel mondo e 3,6 milioni di visitatori nel mese di marzo – in crescita del 17% da febbraio e del 46% su gennaio - Second Life continua a imporsi su scala internazionale, quando finora è stato considerato un fenomeno prettamente americano.
Gli stati Uniti, secondo le ultime statistiche, sono ancora il mercato principale, ma il loro peso complessivo comincia a calare: “…è interessante notare – ha concluso Ivins – che il numero di residenti attivi provenienti dalla Germania supera il totale di quelli statunitensi”.

Si tratta comunque di un trend fisiologico, dal momento che Second Life è stato sostanzialmente una ‘scoperta’ americana.

Onnivori o indifferenti? Dallo studio Pew agli adulti piace ancora poco il Web 2.0.

Sebbene la maggior parte degli adulti americani possieda un telefonino, un computer e disponga di un accesso a internet, solo una piccola percentuale prende parte ad attività tipiche del Web 2.0.

In base a uno studio di Pew Internet & American Life Project, relative all’evolversi della relazione tra le persone e il cyberspazio, il 73% degli adulti americani possiede un telefonino, il 68% possiede un Pc, il 30% un laptop e il 73% dispone di una connessione a internet – senza contare altri dispositivi tecnologici come le videocamere digitali o le console - ma appena l’8% di loro si avvantaggia della tecnologia per esprimersi online e partecipare ad attività interattive nel cyberspazio, quali possono essere il mantenimento di un sito web personale, di un blog o di un vlog, la condivisione di immagini e video personali.

Per il resto, gli adulti hanno una relazione molto distante, se non addirittura inesistente, con le moderne tecnologie dell’informazione. La diffidenza, spiega Pew, viene dalla paura di restare vittima di un ‘sovraccarico’ di informazioni, ma anche dalla sensazione di essere un po’ fuori luogo in un universo dominato dai teen ager – pensiamo ad esempio a YouTube o a siti quali Myspace o Flickr.

Ma il rapporto tra adulti e Web 2.0 non è una landa desolata: c’è una buona percentuale (37%) che usa regolarmente l’instant messaging, il 41% ha inviato un sms, più del 25% ha scaricato file musicali, e il 19% ha condiviso foto, storie o video su internet.

Lo studio Pew, inoltre, suddivide le persone in 10 gruppi – ognuno con una specifica ‘tech personality’ – per 3 grani categorie in base ai dispositivi utilizzati e a come vengono utilizzati.

Al primo gruppo – una sorta di elite della tecnologia – appartengono gli Onnivori (8%) per lo più uomini sulla trentina che utilizzano in maniera vorace strumenti e servizi per partecipare alle attività Web 2.0 ed esprimersi attraverso internet; i Connectors (7%) possiedono un telefonino di ultima generazione e utilizzano spesso internet per comunicare e gestire contenuti digitali, con alti livelli di soddisfazione; i Lackluster Veterans (8%) usano più internet e meno il cellulare, ma non sono troppo entusiasti delle tecnologie ICT, né le vedono come strumenti per aumentare la produttività; i Productivity Enhancers (8%), utenti ‘frequenti e felici’ dell’ICT, i quali considerano in maniera molto positiva i nuovi strumenti tecnologici che consentono loro di comunicare, lavorare, imparare nuove cose.

Al secondo gruppo – una via di mezzo tra i manici e gli indifferenti – appartengono i Mobile Centrics (10%), patiti del cellulare che usano internet ma non molto spesso. La maggior parte degli appartenenti a questo gruppo è afro-americano e il 37% dispone di una linea a banda larga; i Connected But Hassled (10%) invece hanno investito molto in tecnologia – l’80% ha la banda larga a casa – ma giudicano la connettività intrusiva e l’eccesso di informazioni un fardello.

All’ultimo gruppo - che dispone di minori asset tecnologici - appartiene il 49% degli americani, suddivisi in: Inexperienced Experimenters (8%) utenti occasionali e dell’ultimo minuto ma che se avessero maggiore dimestichezza potrebbero fare di più con le tecnologie ICT; i Light But Satisfied (15%) soddisfatti dalla tecnologia che però non è un elemento centrale della vita; gli Indifferents (11%) dispongono di accesso a internet e telefonino ma li usano a intermittenza e trovano la connettività noiosa; gli Off the Network (15%), infine, non hanno né un cellulare né una connessione e preferiscono i vecchi ai nuovi media.


di Alessandra Talarico

giovedì 3 maggio 2007

Il mercato della pubblicità sempre più dominato dalle web company. Yahoo! completa l’acquisizione di Right Media


L’andamento del mercato conferma la tendenza delle grandi web company a investire considerevoli somme nella ricerca di nuovi strumenti in grado di ampliare le potenzialità degli investimenti pubblicitari.
Il recente successo riscosso da questi nuovi mercati è la prova del rapido sviluppo dei volumi di vendita dell’ePub e di come i diversi attori coinvolti - che vanno dai siti di socializzazione ai network di editori online alle grandi società inserzioniste - siano sempre più interessati a ottimizzare le transazioni delle loro pubblicità.

Dopo che
Google ha acquistato Doubleclick per 3,1 miliardi di dollari, adesso è la volta di Yahoo! che intende rafforzarsi nel settore dell’eAdvertising.
Il sito Web statunitense più visitato ha, infatti, completato l'acquisto di Right Media, società specializzata in pubblicità online, per circa 680 milioni di dollari. Il colosso del web deteneva già dallo scorso ottobre una quota del 20% comprata per 40 milioni di dollari e ora ha deciso di procedere all'acquisto del restante 80%.

“…Penso che sia una specie di terza gamba dello sgabello”, ha detto Terry Semel, presidente e amministratore delegato di Yahoo, agli investitori.
“…Saremo in grado di generare maggiori ritorni per i nostri inserzionisti e di espandere la nostra rete includendo gli oltre 1.000 editori con i quali Right Media ha già instaurato una relazione”, ha aggiunto Semel, commentando che la decisione di acquistare il restante 80% della società dimostra come Yahoo abbia un approccio più aperto rispetto ai suoi concorrenti nei confronti del mercato pubblicitario online. La società ha dovuto fare i conti con un rallentamento del fatturato, cresciuto solo del 7% nel primo trimestre dell'anno. Secondo gli analisti i profitti derivanti dalle tradizionali pubblicità grafiche, come i banner, sono in calo a causa della competizione di società rivali.

Gli azionisti di Right Media saranno pagati parte cash e parte in concambio azionario e l'accordo dovrebbe essere concluso tra il secondo e il terzo trimestre.
Fondata nel 2003 Right Media attrae circa 20 mila operatori pubblicitari e impiega oltre 200 dipendenti.
Gestisce un vero e proprio mercato di pubblicità online, con un concetto molto simile a quello del listino azionario e non a caso denominato Exchange, dove venditori e acquirenti possono incontrarsi virtualmente, contrattare e portare a termine transazioni.

Michael Walrath, amministratore delegato di Right Media, commentando l’operazione con Yahoo!, ha scritto sul sito della società che “…I benefici di questa nuova relazione sono evidenti Yahoo aggiungerà domanda e offerta all'Exchange, aumenterà la liquidità e amplierà le opportunità per inserzionisti, editori e provider di far crescere il loro business”.

mercoledì 2 maggio 2007

'Adv Pollution' e strategie del web: necessario uno sviluppo sostenibile della comunicazione

Comunicazione anno zero? Forse. Quel mix di pensiero laterale, creatività e ricerca che avrebbe potuto siglare grandi performance negli scorsi anni non sarà più sufficiente: il raggio di visione di chi opera nella comunicazione si deve allargare di molto oltre il 360° mentali.
E sui nuovi concept di visione della comunicazione contrassegnati in modo generico dalla fortunata sigla “2.0” si è ormai ampiamente dibattuto su tutti i media, mentre poco si è parlato di sostenibilità della ‘filiera della comunicazione’. Ecco un argomento ancora da sviluppare e comprendere. Nel vasto numero di aspetti esaminati sull’onda delle preoccupazioni suscitate dalla recente ricerca dell’ Ipcc - organo dell’ONU, ci si è scordati dell’aspetto comunicazionale.
Sullo "sviluppo sostenibile della comunicazione" (il termine “sviluppo sostenibile” è ormai parte del linguaggio comune, ad iniziare dalla Conferenza per l'ambiente di Rio de Janeiro del 1992) poco si è dibattuto. Proviamo ad accostarci al problema: la comunicazione dovrà fare i conti in modo sostanziale con una visione eco-oriented e su questa necessità si dovrà plasmare il modo di progettare e di creare delle aziende e della agenzie, ma, più in profondità, la concezione di comunicazione ‘sostenibile’ vede il meccanismo stesso del comunicare al centro del cambiamento: produrre comunicazioni errate non solo disorienta l’utente finale che fatica a comprendere, come anche l’investitore che non ne trae profitto o il comunicatore che ne diventa il frustrato artefice negativo, ma produce un inquinamento comunicazionale ‘ambientale’, una 'Adv Pollution' con effetti negativi a cascata.
Si potrà parlare di “comunicazione sostenibile” quando ad un progettare olistico si assommerà una metodologia comunicazionale essenziale al suo scopo: mettere in condivisione un’idea senza creare “rumore di fondo”.
Ecco allora il punto di partenza: conoscere meglio i meccanismi mentali dell’utente per progettare e realizzare un percorso virtuoso a partire dalle radici del processo attraverso metodologie di ricerca innovative.
Ma se la “filiera della comunicazione” fosse intesa come un lungo ‘condotto’, la necessità che tutte le giunture possano garantire il flusso corretto del materiale trasportato diverrebbe obbligatoria. Ma è così? La neonata Scienza della Comunicazione ci offre certezze su questo versante? La risposta mi sembra ovvia ed è negativa.
La frammentazione dei vari momenti della comunicazione e la loro impermeabilità al reciproco confronto – vedi la strategie web che, tolto rare eccezioni, danno vita ad un brand diverso da quello ‘rap-presentato’ nella strategia tradizionale, vedi le campagne di advertising televisivo che non trovano riscontro (neppure ‘laterale’) negli interventi sul punto vendita, o i codici colore di un packaging che stridono con quelli usati nel below the line - non fanno certamente ben sperare. Se si aggiunge che il perverso meccanismo delle gare ha addirittura frammentato la visione anche all’interno di un medesimo comparto, direi che il quadro risulta completo.
Quante sono le aziende che presentano una ‘filiera comunicazionale’ coerente a partire dal motivo musicale della segreteria telefonica sino all’advertising o alle interactive actions online?


di Fabrizio Bellavista